Berlino, lo stadio della storia
dove nacque il nuovo sport

Ospitò 70 anni fa i Giochi del nazismo, domenica sarà il teatro della finale
L'ultimo restauro è del 2000: riciclati gli stessi mattoni voluti da Hitler
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BERLINO 7 Luglio 2006. - Corpi, gloria, campioni. Celebrare il mito dell'esistenza. E' nata qui: l'idea che lo sport è un modo di vivere. E di vincere. Dèi greci prima, oggi muscoli moderni. 1936-2006. Settanta anni fa. In questo stadio l'atleta è diventato icona, modello per la gioventù. Etica di bellezza e supremazia. I quattro ori del nero Owens, il successo degli azzurri di Pozzo. E qui domenica si gioca la finale mondiale. L'evento più visto al mondo.

Zoom, slow-motion, inquadrature larghe e strette, replay. Corpi che volano, cadono, esultano. Si feriscono e si rialzano. Trasversali a identità, culture, nazionalismi. Spettacolo di regia, in campo e fuori. Esaltazione di primati, gesti atletici, tuffi al cuore. Leni Riefenstahl nel 1936 con il film Olympia anticipò tutto: tecnica, gioco, movimento. Filmò questo stadio con una nuova luce, con uno sguardo ambizioso e rivoluzionario. E con molti sforzi: 28 cineprese allora, 28 telecamere adesso. Leni, settanta anni fa, capì che il gol è emozione dentro e fuori. Un raptus della vita. Bucò il prato, usò le mongolfiere, inquadrò i volti in tribuna. Non aveva la tv-gru e nemmeno la steadycam. Oggi c'è la tecnica, allora l'inventiva. Per la prima volta furono montati 25 maxi-schermi in città per permettere alla popolazione di vedere le gare. Ma c'era anche Hitler che pretese solo operai ariani (2.064) per la costruzione dello stadio, che andò a rilento nonostante il contributo di 500 ditte. I posti del fuhrer e dei gerarchi domenica saranno occupati da capi di stato e personalità eccellenti. Ma "quel" palco non c'è più.

Gustav "Guzzi" Lantschner, 96 anni, era l'operatore più fidato della Riefenstahl, il suo braccio destro per le riprese dei Giochi Olimpici. E' l'ultimo superstite di quella squadra. "Leni mi scelse perché ero bravo e conoscevo lo sport. Quell'anno avevo vinto la medaglia d'argento nello sci alle olimpiadi invernali di Garmisch-Partenkirchen. Il film che fu girato da un regista su quell'evento raccolse fischi, Leni lo sapeva. Infatti usò operatori che rispettavano l'azione, ci allenò a girare, senza pellicola nella macchina, per imparare a catturare i gesti rapidi delle gare.

Il mio collega Hans Ertl tra l'altro era stato in spedizione sull'Himalaya. Uno dei problemi: insonorizzare le macchine da presa, per fare in modo che il rumore non infastidisse gli atleti. Leni inventò, noi aiutammo: i carrelli a velocità variabile, i pallone aerostatici dalla Luftwaffe per le riprese dell'alto. Ma quando le mongolfiere scendevano, le macchine da presa si rovinavano o andavano perse.

Provò tre pellicole: Kodak, Agfa e la sconosciuta Perutz, in bianco e nero. Scoprì che per i ritratti era meglio la Kodak, per i monumenti l'Agfa e per il verde del prato la Perutz. Legò delle piccole cineprese, ognuna con 5 metri di pellicola, alle selle dei concorrenti nelle gare di equitazione, costruì cestini di corda, sempre con dentro la camera, e chiese ai maratoneti di avvolgerli al petto. Tutto per avere più azione. E poi scavò delle buche all'interno dello stadio, così gli atleti venivano ripresi dal basso, con il cielo come sfondo".

Sei buche, con dentro gli operatori. E Owens che quasi ci cade dentro. "Sì. Ero venti metri dopo il traguardo dei cento metri, accucciato. Owens fa il record del mondo, non riesce a fermarsi, mi vedo già travolto, ma ha una grande prontezza di riflessi e mi evita. Goebbels però s'intrometteva, ci impediva molte postazioni. Per seguire il lancio del martello avevamo costruito un circuito di rotaie attorno alla pedana, stavo riprendendo, quando un giudice corse verso di me, mi strappò la cinepresa, e mi allontanò. Leni lo vide, gli tirò la giacca e gli gridò: 'Lei è un bastardo'. Leni ci trattava come avrebbe fatto un uomo".

Elfriede Rahn-Kaun, 92 anni, vinse il bronzo per la Germania nel salto in alto (1,60). Leni Riefenstahl le chiese di ripetere la sua prova di giorno perché le pellicole di allora di notte erano inservibili. "Lei era molto brava e simpatica. Ma quando riprendeva non dava molto importanza a noi campioni. Ci trattava come birilli, ci faceva spostare come voleva lei. Il mio salto l'ho dovuto ripetere molte volte, perché lei non era mai soddisfatta". Già, oggi si filma tutto di prima, in diretta. Leni invece si chiuse per due anni in sala di montaggio, con centomilametri di pellicola.

Volker Kluge è uno storico e ha scritto due libri sull'Olympiastadion. "Lo stadio doveva fare vedere al mondo la grandezza della nuova Germania fascista. E' sul confine ovest di Berlino, nel '36 aveva più di 100 mila posti, ora ne tiene 74 mila. I dirigenti volevano qualcosa di grandioso, ma c'era poco tempo. L'organizzazione dei Giochi precedeva l'avvento di Hitler ed era stata affidata a degli architetti che venivano dal movimento del Bauhaus. Solo che Hitler fece modificare i piani, volle come materiale solo sasso naturale. Lo stile doveva alludere all'antica Grecia. Le venti colonne di marmo furono aggiunte. Lo stadio doveva dare l'idea di una fortezza, di unità del popolo. Come perimetro usarono quello che già c'era, del vecchio ippodromo. Una parte dello stadio, l'anello inferiore, è sotto il livello del terreno. Hitler protestò, ma non c'era tempo per colmare il dislivello".

L'ultimo restauro è del duemila. Spiega Kluge: "Un primo tetto che copre una parte dello stadio è stato aggiunto per i mondiali di calcio nel '74. Nei lavori 2000-2004 l'anello superiore è stato conservato senza modificazioni. L'anello inferiore invece è stato abbassato di due metri e mezzo. Per mantenere l'apertura storica della "porta della maratona" è stato necessario appoggiare il tetto sulle venti colonne. I vecchi mattoni di sasso naturale sono stati ripuliti uno per uno e riciclati. E' ancora uno stadio che fa impressione, ma è un monumento storico, non solo la celebrazione dell'ideologia nazista".

Rainer Rother, direttore del museo del cinema, dice che Leni Riefenstahl oggi potrebbe essere qui a girare la finale Italia-Francia. "Lei con i suoi mezzi artigianali ha anticipato la tecnologia moderna. Aveva capito che lo sport è anche costruzione emotiva, infatti inquadrava i volti degli spettatori così come oggi la telecamera riprende Maradona e Becker. Ci fosse, domenica, le piacerebbe Henry e anche i tatuaggi di Materazzi. Volò fino in Giappone per farsene uno".