Niente Italia per Domenech

Un turno di squalifica e 6000 euro di multa per un’intervista in cui accusava gli azzurri.

Raymond Domenech.28 agosto 2007. - Peccato. La squalifica di un turno che l’Uefa ha inflitto a Raymond Domenech, commissario tecnico della Francia, sottrae alla nostra Nazionale il più robusto degli stimoli che le circostanze le avevano lasciato. Dopo l’addio di Totti e Nesta, la legnata di Budapest, il grave infortunio di Materazzi, gli scricchiolii di Cannavaro, il no di Nesta alle suppliche di Abete, i problemi muscolari di Toni, Domenech rappresentava un punto fermo in vista della partitissima dell’8 settembre a San Siro, snodo cruciale degli Europei. Viceversa, ci hanno tolto anche lui, l’eterno secondo. «For bringing football into disrepute». Libera traduzione: per aver screditato il calcio. Nel comunicato diffuso da Nyon si parla anche di seimila euro di multa e di un massimo di tre giorni per presentare appello.

Tutta colpa dell’intervista che Domenech concesse il 9 agosto scorso a «Le Parisien». Fatte le debite proporzioni, non proprio una pedata alla Baldini, ma quasi. Ci diede, sopra e sotto le righe, dei truffatori, gente che compra gli arbitri, come quella volta nel 1999, Italia-Francia 2-1, noi campioni d’Europa under 21 e qualificati per le Olimpiadi di Sydney, lui e loro a casa. Le dichiarazioni scatenarono un putiferio. Jean-Pierre Escalettes, presidente della Federazione francese, prese le distanze: «Si è espresso a titolo personale». Da Roma, Giancarlo Abete scelse l’eleganza del silenzio. In compenso, si agitò l’Uefa, il cui grande capo, dal 26 gennaio, è il francesissimo, e un po’ italiano, Michel Platini. «Fuori le prove o ci penseremo noi».

Domenech, 55 anni, sangue catalano, ex difensore che andava sempre al sodo (e se era una tibia o un perone, meglio), ha simulato una mezza marcia indietro, con tanto di dossier inviato a Nyon il 17 agosto, senza produrre prove o indizi che non fossero un generico riferimento a Calciopoli: «La Juve in B non ce l’ho mica mandata io. I punti al Milan non li ho mica levati io». Eccetera eccetera. Di qui la decisione di mandarlo in tribuna per una partita: quella del Meazza. Al suo posto, Pierre Mankowski, il primo degli assistenti. «Massima fiducia nell’Uefa, ci atterremo alle sue decisioni», aveva garantito Parigi. Domenech, al contrario, frigge: alla Disciplinare, ci vuole andare comunque. I superiori frenano: ci andremo solo se il regolamento contempla la sospensione della pena; altrimenti, no.

«Nessuna polemica», chiosano da via Allegri, tristi assai per aver smarrito una sicura fonte di concentrazione. Donadoni, da Pistoia, si adegua: «Come non ho commentato prima, così non commento adesso». La realtà è che Raymond non piace neppure ai francesi. Se non si può licenziare un allenatore che ha perso la Coppa del Mondo ai rigori, si può non amare un tipo così fosco e, per giunta, isterico. A Platini sta sullo stomaco (anche) perché, nella corsa alla panchina dei «Bleus», fregò Jean Tigana, il suo pupillo. David Trezeguet non lo sopporta: d’accordo, non gioca in Nazionale A da febbraio, ma proprio per questo avrebbe potuto fare il ruffiano. Invece: «Che fastidio, che vergogna. Con quelle frasi, Domenech ha fatto del male alla Francia e, soprattutto, al calcio». Allegria.

Giovedì, il «bugiardo» Domenech diramerà le convocazioni per il doppio impegno con Italia e Scozia. Nel frattempo, almeno ufficialmente, tace. Aspetta le mosse di Escalettes. Marca stretto Vieira, acciaccato e sempre in forte dubbio, come l’ultimo Thuram del Barcellona, dolorante e sfiorito. Insomma: il lavoro non gli manca. Si mormora che, di solito, Raymond subordini la formazione all’oroscopo. Ha definito Gattuso un «orchetto»: in senso buono, naturalmente.

Non potrà scendere negli spogliatoi, dovrà accontentarsi di guardare tutti dall’alto. Ci detesta cordialmente sin dall’epoca delle baruffe con Cesarone Maldini. Possibile che vincessimo sempre noi? In un modo o nell’altro, forse: ma non con i metodi che ha cavalcato con un lessico così volgare. La lingua, a volte, ferisce come la spada. Domenica sera, Donadoni era a Palermo per controllare Barzagli, Zaccardo e, emergenza delle emergenze, Panucci. Non si aspettava, e non meritava, una tegola del genere: Domenech fuori dalle scatole. Nello spogliatoio azzurro, alla maniera di Helenio Herrera, avrebbe appeso brani dei suoi sproloqui, tanto per caricare la squadra. Potrà sempre farlo: contro un fantasma, però, e non più contro un obiettivo.

Hai capito l’Uefa? Chi accusa senza prove viene squalificato. In attesa degli sviluppi, giriamo il caso ai medici curanti del nostro manicomio, dove, spesso, chi accusa senza prove diventa un eroe. E appena lo toccano, un martire.

 

(La Stampa.it)