La lista nera: Battisti, Baglioni, Paoli vietati dai dittatori

Anche la Carrà e Di Bari tra i cantanti censurati dal regime militare argentino
al potere dal '76 all'83.

 

6 agosto 2009. - «Canzoni il cui testo è considerato non adatto a essere diffuso dai servizi di radiodiffusione». Così il regime argentino del generale Jorge Rafael Videla, quello dei desaparecidos, aveva bollato una lista di 200 pezzi che era meglio non far sentire. Nella lista nera della dittatura finirono anche molti artisti italiani.

A essere proibiti non furono i brani di protesta e impegno dei vari Guccini e De Gregori, ma quelli d'amore di Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Raffaella Carrà, Gino Paoli e altri.

L'elenco è stato diffuso via internet dal Comfer, il Comitato federale della radiofonia argentina: sette pagine battute a macchina con i titoli censurati fra il 1978 e il 1983. Assieme a «Da Ya Think I'm Sexy?» di Rod Stewart, «Tie Your Mother Down» dei Queen, «Kiss, Kiss, Kiss» di John Lennon e Yoko Ono, «Another Brick in the Wall» dei Pink Floyd e «Cocaine» nella versione di Clapton, nell'elenco ci sono «Questo piccolo grande amore» di Baglioni, «Tanti auguri» della Carrà, «E penso a te» di Battisti, «Mia» di Nicola Di Bari, «La donna che amo» versione di Gino Paoli di una canzone di Joan Manuel Serrat, «Solo tu» dei Matia Bazar, «Un'età» scritta da Vandelli, Piccoli e Baldan Bembo per Mia Martini, «L'importante è finire» che in Italia creò qualche problema a Mina e «Si» di Toto Cutugno. «Ma noooo», commenta stupito Gianni Boncompagni, autore di «Tanti auguri», quella di «come è bello far l'amore da Trieste in giù». «Forse è un fatto di pruderie — aggiunge l'autore —.

Il successo di Raffaella in Argentina era spaventoso, di primissimo ordine. E lo vedo ancora oggi con i diritti che mi arrivano per quella canzone». Mai imbavagliato dalla Rai quando faceva «Alto Gradimento» o «Bandiera Gialla»? «All'epoca la censura era una commissione d'ascolto fatta da vecchi maestri che sceglieva se trasmettere o meno un disco in base a criteri soprattutto qualitativi. Arbore e io riuscimmo a convincere il direttore che era meglio lasciar decidere noi. Insomma, avevamo licenza di uccidere». Baglioni si ricorda dell'episodio: «Anche altri passaggi dell'album subirono censure.

D'altronde anche in Italia era accaduto lo stesso. Spesso venivo male interpretato anche nelle interviste in spagnolo. Così decisi di imparare la lingua, per essere più libero e anche per poter leggere direttamente i poeti spagnoli e sudamericani». «E penso a te» fu uno dei successi della coppia Battisti-Mogol. «Provo a riflettere sul perché di quella scelta — analizza Mogol —. Il problema, forse, è che quelle parole venivano considerate un invito a distrarsi, a pensare ad altro... Ma nei regimi oppressivi si fanno cose folli e ogni forma di censura, esclusa quella che riguarda la pornografia, per me è intolleranza».

La coppia Mogol-Battisti, però, venne sforbiciata anche da noi. «Forse era bigottismo, ma "Dio mio no" non poteva essere trasmessa dalla Rai». Scelte imperscrutabili, come nota anche il quotidiano argentino Clarin. Assieme a «canzoni di Armando Tejada Gómez e César Isella con temi rivoluzionari» c'erano anche «artisti più popolari e depoliticizzati».

(Andrea Laffranchi / Corriere.it)

Una donna per amico, di Battisti, Strada facendo, di Baglioni e La ragazza senza nome, di Paoli: tre album dell'epoca della censura