È morto il maestro Pavarotti
Oltre 46 anni di carriera passati nei più celebri teatri del mondo, navigando tra alti e bassi.

6 settembre 2007. - La carriera di Luciano Pavarotti è stata una delle più lunghe tra i grandi della lirica, vissuta tutta fuori dal coro, attraverso innovazioni spesso discusse e - come nella migliore tradizione - nella netta divisione tra feroci detrattori e appassionati sostenitori.

 

Gli esordi

Una carriera iniziata nel coro della sua Modena, dove era nato il 12 ottobre 1935); quando la formazione corale, nella quale militava anche suo padre, vinse un premio internazionale in Galles, Pavarotti capì che avrebbe fatto del canto la sua ragione di vita. Di mestiere fa l’ insegnante. Ma è anche allievo, sotto la guida di Arrigo Pola e di Ettore Campogalliani. Vive quegli anni di formazione nello stesso ambiente di Mirella Freni, con la quale stringerà un duraturo sodalizio artistico.

 

La consacrazione

Nel 1961 il ventiseienne Luciano vince il Concorso internazionale di Reggio Emilia, dove debutta come Rodolfo nella Boheme. La sua voce estesa di tenore chiaro, calda e suggestiva nei fraseggi più teneri, scevra dai rischi di «strillo» negli acuti più impegnativi, lo consacra nel Gotha della musica, e lo porterà in pochi anni nei più grandi teatri del mondo: Opera di Amsterdam, Staatsoper di Vienna, Covent Garden di Londra (dove con Joan Sutherland e Richard Bonynge nasce una fortunata collaborazione), Liceu di Barcellona e Festival di Glyndebourne.

Il 1965 è un anno fortunato: il debutto alla Scala in Boheme con Mirella Freni e Karajan è un trionfo. E nel ’67, con la stessa opera, ormai cavallo di battaglia in un repertorio sempre più vasto riscuote grande successo al Metropolitan di New York. Ormai è fatta e negli anni Settanta continua l'ascesa per il cantante che, però, in una hit parade stilata a Londra venti anni più tardi, sarà all’11/o posto nei gusti dei melomani, dopo Gobbi, Bergonzi e Corelli. Pavarotti, tuttavia, viene accolto da caldi consensi nei teatri di tutto il mondo.

Lo star system della lirica ruota ormai attorno al tenore modenese, ma la sua Scala lo fischia nel 1983 in Lucia di Lammermoor e a Salisburgo, per Idomeneo, la stampa lo critica perchè non adatto a ruoli mozartiani. «Ma - risponde - sono il primo italiano che ci ha provato». Il teatro milanese lo ritroverà due anni dopo, con uno splendido Radames in Aida. È ancora Boheme a portargli fortuna a Pechino nel 1986 e con l’opera pucciniana è ancora festa all’ Arena di Verona nell’ 87. È a metà degli anni Ottanta che per Pavarotti maturano nuovi orizzonti: lui, al quale viene assegnato il Disco di Platino dopo i due d’oro, risultato di un indiscusso matrimonio con la Decca, rompe gli schemi e canta 44 gattì per i 30 anni dello Zecchino d’oro; poi debutta nella regia a Venezia con La Favorita di Donizetti. E il cinema? «Lo rifarei, ma solo se il soggetto fosse scritto da Mel Brooks».

La grande festa di Italia 90 per i mondiali di calcio vede la nascita del fenomeno Tre tenori che si trasforma in un clamoroso record discografico: a Caracalla con Domingo e Carreras canta arie celebri, ma anche Cielito lindo, La vie en rose e Ò sole mio. La platea è di un miliardo di telespettatori. C’è chi pensa subito di duplicare il fenomenale show: «Non sfidiamo la sorte. Non tutte le ciambelle riescono col buco», commenta scaramantico Pavarotti, che non si separa mai da un chiodo torto - il suo portafortuna - e lancia un appello pubblico per ritrovare il suo inseparabile foulard Hermes smarrito a Firenze. I Tre tenori, invece, continueranno ad essere uno dei fenomeni musicali e discografici degli anni ’90, segnando per Big Luciano un progressivo allontanamento dall’opera in favore dei recital, dei palasport e dei megaconcerti all’aperto: 150.000 persone sotto la pioggia lo ascoltano a Hyde Park e addirittura saranno mezzo milione, nel ’93, a Central Park. Lo spettacolo con i due colleghi di lingua spagnola avrà poi diverse repliche, suscitando apprezzamenti e stroncature. «Ma i tre tenori sono un puro fenomeno commerciale - commenterà anni dopo - solo così si può giungere ad avere un miliardo e mezzo di spettatori davanti alla tv. È questo, e nient’ altro, che vogliamo».

 

Tra alti e bassi

In teatro torna a Reggio Emilia per festeggiare i 30 anni dal debutto e a New York per Rigoletto, dove non gli viene perdonata una clamorosa stecca nella Donna è mobile. Poi tutto si alterna, tra vistosi successi all’estero e clamorosi forfait. Si dedica alla formazione di giovani interpreti e come partners sceglie ora musicisti e cantanti blues e rock, incide Miserere con Zucchero; su invito della sua amica Diana, principessa di Galles, canta per i bambini malati a Cardiff e, nel 1994, dedica il Requiem di Verdi ai morti della strage di via dei Georgofili, avvenuta a Firenze un anno prima.Si rafforza l’ impegno umanitario a favore dei malati e dei più deboli e nel suo Pavarotti and friends, all’insegna della contaminazione musicale, sfilano Elton John, Liza Minnelli, Eric Clapton, Ligabue e i Litfiba. Con Michael Jackson fanno a turno: prima il Peter Pan americano assiste al suo concerto, poi Big Luciano ricambia la cortesia. Con «gioia e serietà» guida una delle giurie del Festival di Sanremo.

 

Gli ultimi anni

Con gli Usa, di gran lunga la piazza più difficile, ma anche più lusinghiera per Pavarotti, il rapporto prosegue in modo alterno. Nel 1996 è un successo a New York con Andrea Chenier, ma nel 1997 la critica è dura per il Ballo in maschera. Due anni prima lo era stato anche il pubblico americano, dopo una stecca mirabolante al primo do di petto nella Figlia del reggimento. Alla vigilia aveva annunciato che avrebbe fatto tutti e otto i do di petto racchiusi in 50 battute dell’opera, in risposta a chi sosteneva che era un tenore finito: «O muoio in palcoscenico, o sarà un trionfo». Fu invece una debacle che, come in altri casi, Pavarotti ebbe la forza di superare anche con l’ arma dell’ ironia: «Ho 60 anni e me ne sto in questo albergo, tentando di dimagrire: e questo - confidò ad un giornale tedesco - è un vero fiasco». Negli ultimi anni Big Luciano ha gustato le gioie di un nuovo amore e di una nuova paternità. Ma anche la sofferenza e la delusione per una salute che sempre più spesso gli ha impedito di onorare i suoi impegni artistici. Nel 2004 è partito da Tokio il suo «giro d’addio» che praticamente è andato avanti per anni e non sempre con lo sperato successo. Ma ormai la figura del tenore cominciava ad appartenere alla leggenda, più che alla cronaca.

 

(La Stampa.it)