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2 febbraio 2020 (ore 23,23) - L'organizzazione EQUIS Justicia para las Mujeres si è impegnata ad evidenziare gli effetti sulle donne delle politiche sulle droghe, per mezzo di pubblicazioni, dell'incidenza sulle iniziative pubbliche, dell'attivismo internazionale e, più recentemente, parlando con decine di donne che usano droghe e che si trovano private della libertà o in centri residenziali di trattamento per consumatori di droga dipendenti.

A questo proposito, nelle due precedenti pubblicazioni realizzate in questo spazio, abbiamo trasmesso alcune delle esperienze che le donne detenute nei centri di cura e di reinserimento sociale hanno generosamente condiviso con noi. Abbiamo evidenziato come le loro storie di vita non si svolgano nel vuoto, ma in un ambiente di violenza sistematica contro i bambini e di violenza di genere contro donne e ragazze, perpetrata, nascosta e giustificata all'interno delle famiglie, delle relazioni di coppia e dei circoli di amicizia1.

Questa violenza trova eco nei centri di cura e nelle carceri, luoghi in cui l'istituzionalizzazione delle donne è attraversata dalla riproduzione e dalla recrudescenza dell'ordine di genere dominante. Negli ultimi dieci mesi abbiamo visitato diversi centri di reinserimento sociale femminile e misti, nonché centri di trattamento pubblici e privati in cinque Stati2. nei seguenti paragrafi segnaleremo i problemi più preoccupanti, che in nessun modo si ripetono in tutti i centri allo stesso modo o con la stessa intensità.

Nei centri misti (ad eccezione del reparto di ricovero di Centros de Integración Juvenil di Tijuana) si applica una politica di contatto zero tra donne e adolescenti e uomini e adolescenti: non si possono rivolgere la parola, guardare, scambiare saluti né iniziare conversazioni che potrebbero dar luogo a relazioni sentimentali o sessuali.

La rottura di questa naturale interazione ha conseguenze più gravi per le donne che per gli uomini, poiché sono loro ad essere accusate di “provocare” i ragazzi. Nella sua storia, Gato, una ragazza di 19 anni, ci ha raccontato che una notte è andata in bagno in pigiama, indossando dei leggings invece dei pantaloni. Questa esposizione del suo corpo è stata soppressa con un avvertimento verbale da parte del direttore del centro e l'affermazione: «Ti stai cercando uno stupro». Gato era stata vittima di violenza sessuale da quando aveva tre anni, prima di suo nonno e poi, nell'adolescenza, di suo padre.

In un altro centro —un posto che è peggio di una prigione, totalmente chiuso, senza cortile né ventilazione— le donne non escono mai, vivono detenute senza il loro consenso, sotto il controllo delle autorità e con l'approvazione delle famiglie, che spesso ignorano le condizioni di confinamento dei parenti che usano droghe. Gli uomini, invece, possono uscire a “prestare servizi” —di solito lavorano remunerati con pagamenti in natura— o a chiedere soldi. Questo regime di lavoro forzato non retribuito non si applica alle donne, perché «bisogna proteggerle, corrono più rischi». Ce l'ha spiegato la vicedirettrice del centro, un'“ex reclusa” —come lei stessa si definisce usando il linguaggio della prigione— attualmente moglie del proprietario, direttore e “padrino” del posto.

È importante sottolineare che tale discriminazione di genere può provocare stupri. Lo riferisce Pato, oggi detenuta in carcere, che nella sua prima esperienza di internamento in un centro è stata violentata da tutti i consumatori dipendenti detenuti. O Silvia, vittima dello stupro di uno degli uomini che lavoravano nel centro dove era ricoverata. Ne è rimasta incinta. Il direttore del centro e sua moglie le hanno dato sostegno ... a patto che non abortisse. E così oggi vive sentendosi in colpa per non aver amato il suo primo figlio.

In generale, le donne che hanno parlato con noi hanno sottolineato che, tra gli abusi fisici e psicologici si trovano:

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stare in piedi nuda contro il muro, mentre le altre detenute le gettano ghiaia bagnata con acqua sulla schiena

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mangiare cibo avariato

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pulire le pareti con uno spazzolino da denti

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percosse e abusi sessuali

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stigmatizzazione in caso di ricadute nell'uso di droghe

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uscire per strada a chiedere soldi

A ciò si deve aggiungere la mancanza di cure mediche, attività scolastiche e lavorative, nonché contatti limitati con la famiglia. Alcune delle violazioni che abbiamo rilevato grazie alle donne sono anche contenute nel rapporto No health, no help della Open Society Foundation, dove si dimostra che in America Latina e nei Caraibi esistono prevalentemente centri di trattamento non regolamentati, religiosi e basati sul modello di aiuto reciproco. Alcuni operano con scarse risorse e l'intenzione genuina di sostenere le persone che fanno uso di droghe, anche se i metodi non sono sempre in linea con i diritti umani. Altri, invece, sono veri luoghi di tortura in cui arrivare vivi al giorno successivo è solo una possibilità, non una certezza.

La brutalità contro le donne nei centri di trattamento si aggiunge alla violenza di genere subita durante la loro vita e quella sofferta a seguito di politiche punitive sulle droghe.

A questo proposito, nel quadro dell'ultima Giornata mondiale dei diritti umani —il giorno in cui si sono conclusi i 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere iniziati il 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro donne— l'Associazione per i diritti delle donne nello sviluppo (AWID) e l'Associazione eurasiatica per la riduzione del danno (EHRA), hanno presentato il rapporto Feminist Movements and Women Resisting to the War on Drugs. Questo rapporto solleva, tra molti altri punti, la necessità di costruire ponti tra i movimenti femministi e le critiche alle politiche sulle droghe. EQUIS ha cercato di colmare questa lacuna ed eliminare i pregiudizi.

Le donne che usano droghe e sono vittime della violenza non sono accettate, non c'è posto per loro nelle istituzioni, negli immaginari o nei dibattiti. Parte del nostro lavoro è mostrare cosa succede negli interstizi dove di solito non guardiamo. Ma solo insieme alle donne che usano droghe possiamo cercare di costruire nuove rotte. Con diritti e senza violenza.

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Corina Giacomello è docente e ricercatrice presso l'Instituto de Investigaciones Jurídicas della Universidad Autónoma de Chiapas e collabora con Equis Justicia para las Mujeres, A.C. È inoltre consulente di istituzioni, enti multilaterali e organizzazioni della società civile. È autrice di numerose pubblicazioni in Messico e all'estero

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1 A livello globale, una donna su tre ha subito violenze fisiche e/o sessuali da parte di un partner o violenza sessuale da parte di qualcuno diverso dal proprio partner in qualche momento della propria vita. In 28 Paesi che dispongono di dati, 9 donne adolescenti su 10 riferiscono che la prima volta in cui sono state costrette ad avere un rapporto sessuale è stato con persone vicine o conosciute.

2 Per evitare di mettere a rischio le donne e le adolescenti che hanno accettato di condividere con noi le loro esperienze, non citiamo i centri di reinserimento e trattamento sociale a cui ci siamo recate.

(corina giacomello / animalpolitico.com / puntodincontro.mx / adattamento e traduzione in italiano di massimo barzizza)

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