21
maggio
2014 -
Il prete più anziano del Messico? Un
bergamasco di Arcene, padre Mariano
Ambrosini, classe 1915, ma con lo spirito di
un ragazzino.
Durante la chiacchierata ride spesso e di
gusto. È lucidissimo: ricorda nitidamente
episodi che risalgono a decadi fa. Ogni anno
rientra nel paese d’origine, 14 ore di volo
in barba ai 99 anni che compirà a dicembre.
È ospite della famiglia Passera, quando lo
incontriamo sta giocando a dama con il
nipotino del padrone di casa. Entrambi sono
concentratissimi sul gioco. Dopo una decina
di minuti la vittoria va al religioso.
Ambrosini inforca gli occhiali: «Per quale
periodico lavori?». Periodico , in spagnolo,
significa quotidiano. Rispondo e si alza: «Attendi
un attimo». Dopo qualche minuto si presenta
con trafiletti di giornali messicani che
parlano di lui. Poi sparpaglia sul tavolo
delle foto: «Risalgono a dicembre, sono
nella cattedrale di Città del Messico con
l’arcivescovo Norberto Rivera Carrera».
Padre Mariano snocciola aneddoti in un
italiano perfetto nonostante viva da 57 anni
in America Latina. «Lavoro più adesso di
prima —continua—.
La mattina la sveglia è alle 5, celebro tre
messe al giorno».
Facciamo un balzo nel passato, gli chiediamo
quando è nata la vocazione.
«Sono nato alla Ca’ d’Arcene, una cascina
appena fuori dal paese —l’anziano sacerdote
indica con il braccio la zona che si trova a
un chilometro e mezzo—, un giorno, avrò
avuto 6 o 7 anni, arriva un cappuccino a
chiedere la questua. Mi affascina con la sua
barba lunga e l’abito fino ai piedi. La
vocazione penso sia nata grazie a lui».
Il piccolo Mariano vuole diventare prete.
Gioca nella stalla “a dire messa”: «Chiamo i
miei amici e celebro ripetendo a memoria le
parole in latino senza sapere il
significato.
Li costringo anche alle processioni in
cortile». A 9 anni decide che è arrivato il
momento, dopo il «no» dei cappuccini
(«dissero che ero troppo piccolo») va dai
domenicani nella scuola apostolica in via
Maglio del Lotto: «Mi accettano, ma c’è un
problema: mi mettono nella classe di prima
ginnasio (prima media, ndr ) mentre io avevo
appena completato la terza elementare... È
un disastro: zero in matematica, 4 in
italiano e 8 in religione. Vengo bocciato.
Decido di riprovare coi cappuccini ma è un
altro no: “Se hai fallito dai domenicani non
c’è spazio nemmeno da noi”».
Ma il bambino
non demorde, a 12 anni incontra un
passionista e gli confida che vuole
diventare un religioso. È «l’uomo del
Signore». E gli dice di affrettarsi perché
ci sono ancora due posti nel suo convento.
«Con mia madre, in sella all’asinello,
andiamo alla Basella di Urgnano dove c’è la
casa dei padri passionisti. Un freddo... c’è
la neve alta così. Incontro il direttore.
Quando apprende che sono stato dai
domenicani inizia a grattarsi il capo. Ci
risiamo, penso, anche questo non mi accetta.
E invece entro in convento il 26 dicembre
del 1927».
Il secondo inizio della sua vita. E la
famiglia come la prende? «Eravamo in 7
fratelli, due maschi e cinque femmine di cui
tre sono diventate suore. Papà diceva
sempre: “Io ho seguito la mia vocazione, voi
seguite la vostra”». Dopo gli studi alla
Basella, a Caravate (Varese) e a Cameri
(Novara), Mariano viene ordinato sacerdote
il 23 dicembre 1939.
Da giovane prete
l’esperienza più significativa è a Molare
(Alessandria) dove è parroco per 9 anni al santuario di
Nostra Signora delle Rocche. «Il mio
predecessore piangeva spesso, soffriva nel
vedere i fedeli che non seguivano alla
lettera gli insegnamenti della Chiesa. Io
invece rido sempre. Quando comunicai ai
fedeli che me ne sarei andato in missione
non volevano che andassi via».
Ambrosini
inizialmente vuole andare in Africa. «Ma
leggendo sulle riviste della presenza di
animali feroci come tigri e leoni, cambio
idea. Sono spaventato. Così accetto di
andare a Città del Messico a insegnare in un
piccolo convento passionista». Lo ascoltiamo
e fissiamo la veste nera come la pece con il
simbolo all’altezza del cuore. «Stai
guardando qui?».
Padre Mariano indica con l’indice destro lo
stemma sulla veste. «È l’emblema della
congregazione. C’è scritto Jesu Xpi Passio
che vuol dire Passione di Gesù Cristo. Noi
passionisti dobbiamo seguire oltre ai tre
voti di povertà, castità e obbedienza, un
quarto voto che sostiene la propagazione
della devozione alla Passione».
Torniamo
all’arrivo in Messico. «Ma sa che non sono
entrato nel Paese come prete? Non era
possibile. C’era la persecuzione religiosa.
Per questo mi presento come apicoltore e
pensi che non ho mai visto un alveare in
vita mia... Fuori dal monastero dobbiamo
vestire in borghese. Per fortuna oggi c’è
più tolleranza». E con la lingua? «Sapevo
dire 2 parole. Mi ero portato una grammatica
per studiare.
Dopo tre giorni sparisce. Qualcuno mi fa
notare dei brandelli di carta in un angolo:
il cane l’aveva mangiata. Così imparo lo
spagnolo ascoltandolo».
L’impatto è
positivo. «I messicani mi accettano subito.
Oggi sto bene in mezzo a loro, per questo
non sono mai tornato definitivamente. E poi
là sono attivo, qui mi metterebbero in una
casa di riposo...». 98 anni e (di nuovo) non
sentirli. «Mi sento “chilango”, chiamano così
quelli che vivono a Città del Messico».
Ma Messico significa
anche povertà e condizioni di vita
disagiate. «C’è il grande problema
dell’alcolismo. La gente ingurgita tequila e
si ubriaca per dimenticare i guai. Ogni
giorno 3 o 4 persone bussano alla mia porta
per fare voto di non bere più per un anno».
Mantengono la parola? «Mantengono,
mantengono. Hanno timor di Dio, pensano che
se sgarrano poi verranno puniti. È lo stesso
motivo per cui in confessione non ho mai
sentito un messicano chiedere perdono per
aver bestemmiato».
Ambrosini spiega che è un aspetto della
«religiosità popolare». «È la devozione per
le cose semplici. Faccio un esempio: il 2
febbraio è la festa della Candelora, si
celebra la presentazione al Tempio di Gesù.
Arrivano in chiesa con dei piccoli cristi in
gesso vestiti nella maniera più strana. Ogni
anno cuciono degli abiti nuovi e tutti
vogliono essere benedetti. Ma loro vogliono
essere fisicamente bagnati... A volte
servirebbe un secchio... alla benedizione
delle auto dobbiamo aspergere d’acqua
perfino il baule».
Fa impressione quando
spiega l’impegno da cappellano all’ospedale
di Città del Messico. «Inizialmente aveva
solo il reparto maternità poi si è
allargato. Penso di averne battezzati almeno 30 mila e
potevano essere molti di più se le regole
della Chiesa fossero diverse (c’è il limite
dei 75 anni, ndr). Alcuni tornano ancora a
trovarmi». E giù un altro sorriso
contagioso. Un’ultima domanda: qual è il
segreto per arrivare alla sua età e così?
Mariano ride: «La preghiera e cercare sempre
di essere contenti!»
(matteo magri / corriere .it
/ puntodincontro.mx / adattamento e
traduzione in spagnolo di massimo barzizza)
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